Normalmente quando un’azienda ha un problema si pensa che la causa sia una cattiva gestione, mentre se ha successo il merito è dei buoni manager.
Della responsabilità degli altri dipendenti non si tiene conto: non sono a capo di nulla e di conseguenza non sono responsabili di nulla. Se l’impresa ha problemi finanziari, si vedono i manager ed i capi reparto affannarsi a cercare dove è possibile diminuire i costi, non considerando che gli altri dipendenti dell’azienda sono in grado di vedere per primi dove è possibile tagliare i costi.
E’ estremamente importante coinvolgere tutti i dipendenti, sia nel «bene» che nel «male». Il coinvolgimento è la benzina della motivazione e nel contempo abbatte gli alibi, responsabilizza.
Vorrei dire «come in una squadra di calcio», ma preferisco dire «come in una squadra di rugby». Nel rugby è connaturata una continua e piena assunzione di responsabilità, soprattutto per quanto riguarda la leadership. In un campo da rugby e sul posto di lavoro tutti infatti sono chiamati a fare delle scelte: la leadership la esercita il «portatore di palla», colui che, in quella specifica fase e situazione di gioco che sta affrontando, ha la responsabilità «momentanea» di decidere come avanzare verso la linea di meta, come guadagnare terreno, in che direzione, in che modo.
Allenatore e giocatori sono ugualmente responsabili.
Ritengo che questo modo di vedere le cose, per cui non solo chi occupa ruoli direttivi in azienda è responsabile, vada diffuso.
Ogni risorsa – soprattutto umana – concorre a formare l’architrave dell’impresa, rinforzandolo oppure ammalorandolo.
Le altre due fondamentali componenti dell’architrave (o del DNA, per chi è ancora innamorato della metafora «impresa=organismo») sono costituite dalla produttività, intesa come capacità di gestire la differenza tra entrate e costi, e dalla qualità.
Peter Ferdinand Drucker definiva così la qualità di un servizio o di un prodotto: «non è ciò che ci mettete dentro ma ciò che il cliente ne ricava».
Non c’è bisogno di aggiungere altro, in questa sede: il tempo utilizzato per definire la qualità è tempo rubato alla sua attuazione.
Se vogliamo far crescere l’impresa, dobbiamo quindi focalizzarci sulla produttività, sulla qualità e sulle risorse umane. Dobbiamo farlo con la costante percezione che si tratta di tre elementi fortemente interdipendenti. Mi si perdoni l’insistenza, ma se non ci sono buoni rapporti all’interno dello staff, non è possibile ottenere una buona qualità ed un’efficace produttività.
Porre attenzione alle relazioni umane all’interno dell’azienda consente lo sprigionarsi di un’energia positiva necessaria per instaurare una cultura sulla cui base le organizzazioni possano diventare le migliori o continuare ad esserlo.
Potremmo definirla una cultura della «responsabilità diffusa».
I rischi sono quotidianamente dietro l’angolo (sia in tempi critici che in tempi buoni) ed indeboliscono oppure annientano alcune imprese, incrementando di conseguenza il vantaggio di quelle che sono competenti sulle tre aree anzidette e soprattutto sulle loro interrelazioni.
A chi mi chiede quali sono le competenze trasversali che sono alla base di una cultura d’impresa come quella sopra accennata, rispondo sovente che l’attitudine assertiva è quella che sostiene e garantisce tutte le altre. Dante Valerio Ghisi (CEO DVG SOLVING – Management Consulting)